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Essere un'Educatrice e una Pedagogista ai tempi del Coronavirus

Aggiornamento: 6 apr 2020

Sono una giovane donna, sono un’educatrice e una pedagogista in un centro residenziale per disabili psichiatrici e anche oggi continuo a lavorare.

Il vostro iorestoacasa per me si è trasformato in iorestoallavoro.

Quando ho deciso di voler lavorare in quest’ambito, sapevo che avrei rinunciato alle feste, ai Natali e ai mesi estivi al mare. Quando ho scelto di lavorare in un residenziale mi sono assunta un obbligo, quello di esserci anche nelle criticità e nei problemi.

Lo sapevo, ne ero cosciente.

Non sapevo però che la realtà mi avrebbe messo faccia a faccia con una pandemia, quella del COVID-19.

Ed è lì che mi sono scoperta educatrice h24.

Ho realizzato cosa significa essere resiliente.

La resilienza, essere resilienti, non è altro che avere la capacità di far fronte in maniera positiva ad eventi critici o situazioni di difficoltà. Significa assorbire un urto senza rompersi.

Come lo stesso Cyrulnik affermava, in situazioni difficili non bisogna negare o cancellare il momento negativo, ma riorganizzare la propria vita rendendo le varie esperienze occasioni formative.

L’etica professionale che avevo studiato solo sui libri la vedo ora nella mia realtà.

È la mia etica professionale.

Essere un educatore professionale non è una missione, non è una vocazione.

Si tratta di essere professionista, di essere consapevole delle proprie capacità, ma avere conoscenza anche dei propri limiti, delle proprie paure. E a volte abbiamo davvero paura. In questo momento sento in me un forte senso del dovere, per quegli “utenti” che mi sono stati affidati.

Andrà tutto bene”, lo ripetiamo insieme, lo ripeto a loro, lo ripeto anche a me stessa, ogni giorno.



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